Base teorica di partenza
Per Moscoviti la rappresentazione sociale (RS) è il prodotto cognitivo relativo ad un oggetto sociale, elaborato da un gruppo ed utilizzato dallo stesso per facilitare la comunicazione fra i suoi membri. Essendo il linguaggio un sistema simbolico modellizzante, esso svolge un proprio ruolo nelle procedure cognitive di “oggettivazione” e di “ancoraggio” del concetto. Il concetto, perciò, all’interno del gruppo, assume forma e sostanza (RS) attraverso un “sistema di termini usati in maniera ricorrente per caratterizzare e valutare azioni, eventi ed altri fenomeni” (repertorio interpretativo) (Mininni, 1994).
Le funzioni delle RS sono, quindi, individuabili nel: preservare l’identità sociale, fornire spiegazioni ad eventi socialmente rilevanti, guidare e giustificare le risposte/azioni verso l’oggetto della rappresentazione.
Sebbene le RS debbano essere considerate totalità organizzate, sono definibili attraverso 3 componenti principali:
· Informazioni: conoscenze circa l’oggetto sociale
· Nucleo figurativo, corrispondente ad una struttura entro la quale tali informazioni vengono organizzate
· Atteggiamenti: è questa la componente valutativa (positiva/negativa) verso l’oggetto della rappresentazione.
La forma di ciascuna RS scaturisce dall’“ancoraggio” a preesistenti sistemi di credenze/valori. Il gruppo poi, utilizza l’immagine sociale per difendere tale sistema, ma anche come modalità particolare di conoscenza (senso comune) (Ongari et al., 1999) nei confronti d’aspetti particolarmente complessi e specifici di alcuni concetti.
In particolare, riguardo alle teorie scientifiche, citando Farr e Moscoviti, Giossi e Saraò (1995, p. 513) scrivono: «Nel momento in cui una teoria viene rappresentata e trova il modo di divulgarsi, essa s’innesta nel tessuto culturale di una determinata società, che agisce sia da filtro, favorendo od ostacolando il passaggio di certe nozioni, sia da elemento adattatore che svincola i concetti dal loro significato originario per applicarli a qualcosa di già conosciuto».
Nello specifico nell’ambito della salute, delle malattie e dei disturbi il ricorso alle RS si è mostrato molto interessante e ricco dal punto di vista informativo.
Tra i disturbi dell’apprendimento la dislessia è quello più noto al grande pubblico, tanto da divenire sinonimo di qualsiasi disturbo dell’apprendimento. Facendo riferimento al DSM IV, la dislessia evolutiva (DE) è descrivibile come «un disturbo manifestato nell’apprendimento della lettura nonostante istruzione adeguata, in assenza di deficit intellettivi, neurologici o sensoriali e con adeguate condizioni socioculturali».
Esistono più approcci di studio a tale problema di indubbia natura multicomponenziale: clinico, neuro-psicofisiologico, neurologico.
Sembra difficoltoso delineare una storia della DE, entità clinica che Brizzolara e Stella definiscono «troppo giovane» (1995, p. 431): il termine, proposto per la prima volta da Berlin nel 1887 veniva a sostituire quello di “cecità mentale” attribuibile a Kussmaul. Attraverso gli anni e le varie ipotesi che si sono succedute rivestono particolare importanza le novità emerse durante lo scorso decennio, quando sono stati promossi studi (in particolare su famiglie di dislessici e gemelli) per valutarne l’eventuale presenza di una componente genetica.
Obiettivi
All’interno di un tale quadro teorico, obiettivo della presente ricerca è quello di rilevare se il diffondersi, anche fuori degli ambienti scientifici, dell’ipotesi della componente genetica della dislessia ha modificato la sua RS, trasformandola da disturbo della lettura a malattia.
Ipotesi
L’ipotesi generale della ricerca è:
“A distanza di un decennio dalla diffusione dell’ipotesi della componente genetica della DE, è possibile individuare una evoluzione della sua RS?”
Essa può essere precisata da una serie di ipotesi subordinate:
1) Ci si aspetta che nella RS della DE precedente all’ipotesi genetica siano assenti o irrilevanti quantitativamente riferimenti concettuali e linguistici alla malattia;
2) Ci si aspetta che in seguito alla diffusione dell’ipotesi genetica (aspetto informativo della RS) sia individuabile un crescente etichettamento dei dislessici evolutivi come “malati/pazienti”, la cui conseguenza è una modificazione del nucleo figurativo della RS della DE;
3) All’interno di un gruppo specifico quale quello degli insegnanti, ci si attende che una RS con un nucleo figurativo di “malattia” determini un atteggiamento restrittivo rispetto alle possibilità di intervento (fattore comportamentale) su bambini dislessici.
Procedura
Le fasi della ricerca sono così descrivibili:
A. Analisi della letteratura scientifica italiana sulla DE degli ultimi 30 anni mettendo in evidenza un’eventuale evoluzione nella terminologia adottata per etichettarla (ipotesi 1)
B. Analisi di letteratura divulgativa italiana (3 riviste non scientifiche, selezionate mediante campionamento) negli anni immediatamente precedenti all’introduzione dell’ipotesi genetica per quantificare la consapevolezza del problema della DE e la sua RS (ipotesi 1)
C. Analisi della letteratura scientifica italiana sulla DE dal 2000 in poi, mettendo in evidenza se è evidenziabile un aumento significativo di termini direttamente riferibili al concetto di malattia (ipotesi 2)
D. Analisi di stampa divulgativa italiana (3 riviste non scientifiche, selezionate mediante campionamento) e di altri mezzi di comunicazione (TV, Internet, ecc.) dal 2000 in poi, mettendo in evidenza se è evidenziabile un aumento significativo di produzioni sulla DE e dell’uso di termini direttamente riferibili al concetto di malattia (ipotesi 2)
E. Somministrazione di un questionario costruito ad hoc ad un campione (quantificabile nel 10% della popolazione totale) di insegnanti della città di Verona, prendendo in considerazione scuole elementari e medie inferiori (si escludono le medie superiori, ritenendo che in esse ci sia una minore probabilità di avere alunni dislessici a causa della precoce fuoriuscita dal sistema scolastico di molti soggetti dislessici rispetto alla maggioranza dei loro coetanei) (ipotesi 2, 3).
Il questionario, in linea con quanto suggerito dalle più recenti indagini sulle RS, sarà di tipo misto, comprendente:
1. domande aperte
2. produzione di associazioni libere
3. domande a risposta alternativa
4. scale di giudizio degli atteggiamenti
Risvolti pratici
Gli studi sulle RS, in particolare quelli condotti con approccio sperimentale sulla componente cognitiva, hanno messo a fuoco il carattere action-oriented delle RS. La RS della DE diviene, quindi, uno strumento interpretativo dei possibili pregiudizi e atteggiamenti che veicolano i comportamenti messi in atto nei confronti di bambini dislessici, atteggiamenti e comportamenti che non possono essere irrilevanti per il vissuto di questi soggetti e per la loro integrazione all’interno della struttura scolastica, luogo privilegiato di crescita e socializzazione in età evolutiva.
In quest’ottica s’intende definire un possibile ruolo di intervento della figura professionale dell’Educatore per ipotizzare scelte operative più idonee al superamento di pregiudizi negativi nei confronti dei bambini dislessici, anche nella struttura scolastica, affiancando gli insegnanti e guidandoli nell’ambito della trasmissione e della verifica dei contenuti degli apprendimenti.
Bibliografia
Brizzolara D., Stella G. (1995), La dislessia evolutiva, in G. Sabbadini, Manuale di neuropsicologia dell’età evolutiva, Zanichelli, BO, 411-442.
Giossi L., Saraò M.V. (1995), Il test come strumento di selezione. Una ricerca sulle rappresentazioni sociali attraverso la stampa quotidiana, Arch. Di Psicologia, Neurologia e Psichiatria, 56 (5-6), 511-529.
Mininni G. (1994), Ambienti narrativi per la rappresentazione sociale dell’handicap, Ricerche di Psicologia, 1, XI, 9-25.
Ongari B., Schadee H.M.A., Molina P. (1999), Un’analisi strutturale della rappresentazione sociale della professione di educatrice di nido, Età Evolutiva, Jun, 63, 73-80.